Beato Nicolò Rusca (1563 – 1618)

Ricerche Bioggio

Nicolò Rusca nasce a Bedano il 20 aprile 1563, anno della chiusura del Concilio di Trento (pura coincidenza o segno premonitore?) da Gianantonio Rusca e da Daria della famiglia capriaschese dei Quadrio, persone di alto censo, molto pie e virtuose che, oltre al nostro Martire, danno alla Chiesa altri due sacerdoti: don Luigi, che subentrerà nella cura di Sessa a don Nicolò, e don Bartolomeo che, vantando diritti non meglio precisati sulla Cappellania di San Maurizio nel Comune di Bioggio, Serocca e Gaggio, tenterà di ottenerne l’investitura senza tuttavia esibire documenti probatori. Sfumato questo tentativo, verrà accolto in qualità di canonico nel Capitolo della Collegiata di Sondrio.
In precedenza, dal 1506 al 1540, un altro sacerdote della famiglia, don Giovanni Pietro de Rusco di Bedano (forse zio del nostro Beato), era stato cappellano di San Maurizio di Bioggio. Queste precisazioni stanno a dimostrare il forte legame della famiglia di Bedano con quella di Bioggio, tanto da vantare diritti mai provati, sostenuti sicuramente dai conti di Lugano che, a quel tempo, avevano già eletto il nostro paese a loro residenza stabile, considerandolo come loro feudo sia dal profilo politico sia da quello religioso.

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Veduta di Bedano del 1916.

Don Nicolò nacque nelle case sulla destra che termina con la chiesetta di San Rocco.

Sotto: casa natale del Beato.

 

Studi e Ordinazione Sacerdotale

Nicolò viene avviato al sacerdozio sotto la guida del parroco di Comano, Domenico Tarillo. Effettua gli studi a Pavia e a Roma dove conosce il cardinale Alessandro Farnese dal quale viene presentato a Cesare Speziano, amico del cardinale Carlo Borromeo (Arona1538 – Milano 1584, proclamato Santo nel 1610). Lo stesso cardinale lo fa accogliere al Collegio Elvetico di Milano dove può continuare la sua formazione religiosa e si interessa personalmente di lui, scrivendone in modo lusinghiero e talvolta anche con parole che suonano di profezia riguardo al suo martirio.
Va ricordato che il collegio elvetico di Milano era un seminario fondato nel quadro della riforma cattolica per la formazione del clero della Svizzera cattolica, dei Grigioni, del Vallese e dei loro Paesi soggetti. Poiché in Svizzera erano quasi completamente assenti i seminari, come richiesto dal Concilio di Trento, la Chiesa e i laici della Riforma Cattolica si impegnarono, nella seconda metà del Cinquecento, per ottenere posti gratuiti presso istituzioni italiane. Ai cantoni cattolici era attribuito il diritto di essere consultati nell’amministrazione e nella scelta degli stipendiati. La direzione della casa fu affidata alla congregazione degli oblati di S. Ambrogio, fondata dallo stesso Carlo Borromeo. I primi insegnanti furono gesuiti, fino a quando gli oblati assunsero anche la conduzione della scuola. Accanto agli allievi di diritto, appunto quelli provenienti dalla Svizzera, il collegio fu frequentato anche da allievi italiani; nel periodo di maggiore fioritura arrivò ad ospitare più di 100 studenti.
L’Arcivescovo di Milano ordina sacerdote Nicolò Rusca il 23 maggio 1587. Riceve già in quell’anno l’investitura della parrocchia di Sessa, nell’attuale Ticino, dove rimane due anni, cioè fino alla nomina ad Arciprete di Sondrio nel 1590, lasciando quindi la conduzione della parrocchia di Sessa al fratello Luigi. Dal punto di vista accademico, Nicolò coronerà i propri studi qualche anno più tardi, nel 1591, presso l’università di Pavia, con il conseguimento del dottorato in teologia.

Arciprete di Sondrio

La Valtellina in quel periodo è tenuta d’occhio da tutte le cancellerie d’Europa ed è contesa politicamente da due formidabili alleanze: Stato Pontificio, Spagna e Austria da una parte, Venezia, Francia e Grigioni dall’altra. Si tratta infatti di un cruciale snodo nelle comunicazioni attraverso le Alpi tra nord e sud. Inevitabile che questo interesse si estenda anche al campo religioso in quanto i Grigioni, assumendo il dominio della Valtellina, tendono a sostenere i riformati a scapito dei cattolici in un territorio storicamente cattolico ed incorporato nella Diocesi di Como al cui Vescovo però erano interdette da parte dei riformati visite pastorali nei paesi sottomessi alla Lega e nella Valle di Poschiavo.
Quando don Nicolò Rusca giunge a Sondrio, in un contesto già di tensione, si trova davanti ad una situazione religiosa molto complicata nella contrapposizione tra i due fronti ed anche in campo cattolico. Capisce subito che il primo obiettivo è di recuperare l’unità dei fedeli, e lo fa con tatto, signorilità e soprattutto con estrema carità. Verso i riformati si dimostra tenero con le persone ma fermo nel combatterne la dottrina.
L’arciprete Nicolò Rusca si impegna con ogni forza per evitare che tra i cattolici a lui affidati si diffonda la riforma protestante, da lui ritenuta un pericolo sia perché avrebbe intaccato l’ortodossia romana, sia perché avrebbe acuito le divisioni già esistenti. Il Rusca scende in campo innanzitutto sul piano della teologia, affrontando i riformati, secondo l’uso del tempo, in pubbliche dispute. Nel 1592 si tiene il confronto a Sondrio a carattere quasi privato con il pastore calvinista Scipione Calandrino, il quale accusava l’arciprete Rusca di avere divulgato un libro del sacerdote e poi vescovo Francesco Panigarola (Milano1548 – Asti 1594) nel quale Calvino veniva definito eretico, contro il dettato delle Eccelse Leghe dei Grigioni che vietava ogni azione di proselitismo. Il Rusca rimane saldo nel diffondere il testo del Panigarola e proclama che nel difendere le tesi in esso contenute avrebbe perseverato fino alla morte. Il Pastore Calandrino gli ribatte “Quante arie!” gli evangelici non condannano se non per ribellione ai legittimi poteri”. La risposta dell’Arciprete di Sondrio è più che mai eloquente: “La persecuzione non è segno infallibile né della verità né della falsità della religione, perciocché i buoni perseguitano i cattivi e i cattivi i buoni e i cattivi i cattivi, e varie sono le cause per cui si patisce persecuzione.…onde non è la pena che faccia il martire ma la causa”. Con questa affermazione presa da Sant’Agostino (Epistola 93) Don Nicolò sembra dettare la norma di giudizio intorno al proprio processo e alla propria morte.
Nel 1595 vi è la disputa di Tirano in seguito all’affermazione del parroco di quel villaggio secondo cui Calvino aveva bestemmiato contro la divinità di Cristo. Quindi un altro atto contro i decreti delle Leghe. Questa disputa assume un carattere forense e la distanza tra i due contendenti rimane inconciliabile, restando ognuno arroccato sulle proprie posizioni.
Un’altra importante disputa ha luogo in Val Chiavenna, a Piuro sull’interpretazione sacrificale dell’Eucaristia. L’arciprete Rusca è presente ma, in accordo con il Cardinale Federico Borromeo, il contraddittorio vero e proprio viene affidato a fra Nazario il quale adotta una tattica sottile. Si rifiuta fino alla fine di dare una propria definizione della Messa sfidando su questo terreno i Riformati, quasi a dire: se secondo voi la Messa è una cosa così turpe, blasfema e sacrilega, saprete almeno che cosa essa è!
Ad una posizione estremamente decisa quanto ai contenuti dottrinali, Rusca accompagna però un atteggiamento di rispetto verso la parte avversa, evitando ogni espressione che potesse ferire l’avversario sul piano personale. Con alcuni pastori evangelici Rusca mantiene anche relazioni di confidenza: con il pastore di Sondrio, Scipione Calandrino, a volte scambia dei libri, con il governatore e storico grigione Fortunato Sprecher per due anni ha rapporti “familiari”.

Processi e assoluzioni

Il clima generale rimane comunque sempre carico di tensione, nonostante gli sforzi dell’arciprete per attenuarla. Nubi sempre più minacciose si addensano comunque sul capo di don Nicolò e si arriva così ad un primo processo nel 1608 nel quale viene prosciolto da ogni accusa. Era stato arrestato dalle autorità civili con l’accusa di avere violato le disposizioni a riguardo della tolleranza religiosa, per aver biasimato un giovane cattolico che aveva partecipato ad un culto evangelico. La sentenza di assoluzione viene accolta con giubilo da tutto il popolo e il ritorno a Sondrio dell’Arciprete, dopo un breve periodo trascorso a Como e a Lugano per motivi di sicurezza personale perché già si meditava di eliminarlo, è un vero e proprio trionfo. I suoi nemici riformati, che dal primo suo ingresso a Sondrio provavano un forte senso di rabbia e di frustrazione definendolo da subito “gran diavolo” tanto era forte il timore che avrebbero trovato pane per i loro denti, non digeriscono tanto facilmente questa calorosa testimonianza di affetto, che tuttavia viene ben accolta anche da molti loro correligionari moderati i cui interventi a favore del Rusca si fanno sempre più insistenti.
Ma già l’anno successivo, 1609, è al centro di nuove attacchi, in particolare lo si accusa di aver partecipato ad un fallito attentato ai danni di Scipione Calandrino, ministro riformato, cercando di farlo catturare per condurlo poi a Milano o a Roma e sottoporlo al giudizio dell’Inquisizione. L’arciprete Rusca veniva inoltre accusato di avere sobillato i soldati in servizio ai confini dello Stato retico, in Bassa Valtellina, durante la costruzione del forte spagnolo di Fuentes, affinché non opponessero resistenza ai nemici dei Grigioni. Questo forte sorgeva in una posizione strategica, dominando e quindi controllando l’importante crocevia tra la Valchiavenna, la Valtellina e l’Alto Lario dalla collina di Montecchio o Monteggiolo nella piana alluvionale che in passato era chiamata Pian di Colico ed oggi è detta per l’appunto Pian di Spagna. La difesa approntata dai Cattolici di Sondrio ha tuttavia pieno successo di fronte al tribunale di Coira, e Rusca ottiene anche in questo caso una piena assoluzione.
La situazione politico-religiosa interna alle Tre Leghe, e quindi anche della Valtellina, attraversa comunque un momento di forte disorientamento. Tanto da causare un sollevamento popolare in alcuni comuni, tramandato come Fähnlilupf (in dialetto retico: alzabandiera). Si trattava di adunanze, spesso arbitrarie, delle milizie di una giurisdizione o di una parte di esse, riunite dietro un vessillo, che muovevano contro un avversario politico, sovente insieme ad altre truppe di questo tipo. Questi assembramenti erano un modo per fare pressione su magistrati, capi di partito, diplomatici o altre giurisdizioni, e spesso anche per ottenere con la forza l’istituzione di un tribunale censorio. Nasceva così lo Strafgericht, un tribunale penale per giudicare quanti fossero ritenuti sospetti di tradimento verso la patria.

Sequestro e deportazione

Nel 1617 Nicolò Rusca è a Bedano, Lugano e Bioggio in visita a parenti e amici. Oppone un garbato rifiuto alle loro insistenze affinché non torni più in Valtellina, dicendosi pronto a morire per Cristo. In quell’anno la Dieta di Davos decide di aprire a Sondrio un collegio diretto da un teologo calvinista, anche se ufficialmente viene presentato come aperto a tutti e due i contendenti. In effetti la progettata scuola è vista dai Riformati come una buona occasione per dare nuovo slancio anche alle comunità evangeliche di Sondrio e di tutta la Valtellina.
Il Rusca si oppone con fermezza al progetto dichiarando ai pastori e ai delegati grigioni la propria totale contrarietà e proibendo alle famiglie cattoliche di iscrivere i propri figli a quella scuola. Per lui si apre la “Via Dolorosa” che va da Sondrio a Thusis passando per Coira. Nella notte del 14 luglio 1618 del calendario giuliano, corrispondente al 24 luglio di quello gregoriano, viene prelevato di forza da un contingente di alcune decine di armati che fanno irruzione nella canonica, dopo essere scesi a Sondrio attraverso la Valmalenco. Condotto prigioniero a Coira legato su un mulo con la testa all’indietro, transitando per il passo del Muretto (quota 2562), Rusca viene rinchiuso in un carcere di fortuna.
A Coira questa soldataglia, composta nella stragrande maggioranza da bregagliotti, preceduta e aizzata da quattro predicanti, non trova buona accoglienza nemmeno da parte della popolazione protestante e nel giro di pochi giorni è costretta a partire per Thusis con il prigioniero. I soldati comunque devono essere sostituiti in continuazione in quanto – raccontano le cronache del tempo – la mitezza e la fede del carcerato li conquista rapidamente e si teme un loro cambiamento di campo.

Nelle mani dello Strafgericht

A Thusis l’arciprete Rusca viene sottoposto al giudizio dello Strafgericht. Questo – come precisano numerose fonti storiche – era stato istituito in quell’anno contro gli esponenti del partito filospagnolo (che erano in maggioranza di confessione cattolica ma contavano nelle loro file anche diversi protestanti). Questo tribunale popolare, presieduto da Jakob von Casutt, intendeva agire in nome di tutti i comuni della Repubblica delle Tre Leghe e a tutela della libertà religiosa e della convivenza tra le due confessioni cristiane. Tra i sessantasei giudici, inviati soprattutto dai comuni protestanti della Lega Caddea e della Lega delle Dieci Giurisdizioni, erano pure presenti, in minoranza, alcuni magistrati cattolici.
I processi, tuttavia, furono influenzati fin dall’inizio dai pastori riformati presenti in veste di supervisori, la cui partecipazione sollevò subito vivaci proteste anche da parte riformata. Costoro guardavano con estremo sospetto tutti coloro che nutrivano una qualsiasi simpatia per la Spagna, considerandoli nemici delle libertà religiose e politiche delle Tre Leghe e potenziali traditori. I “supervisori religiosi” dirigevano le indagini e l’istruzione delle prove, pur non avendo diritto di voto quando si trattava di scegliere la pena da comminare agli imputati giudicati colpevoli. Erano: Stephan Gabriel pastore a Ilanz, Jakob Anton Vulpius a Ftan, Gaspare Alessio rettore della scuola umanistica di Sondrio, Biagio Alessandro pastore a Traona, Jürg Jenatsch a Berbenno di Valtellina, Bonaventura Toutsch a Morbegno, Conrad Buol a Davos, Johann Porta a Zizers, Johann Janett a Scharans.
In soccorso dell’arciprete in procinto di essere sottoposto a giudizio, si muove in primo luogo anche questa volta la comunità cattolica di Sondrio, che invia propri rappresentanti in difesa di un parroco unanimemente riconosciuto come estraneo a contrapposizioni violente e ad atteggiamenti sovversivi contro lo Stato. Neppure il successivo intervento dei Cantoni cattolici – interessati al caso dal Nunzio apostolico presso gli Svizzeri, Ludovico Sarego – e della città di Lugano, che invia due rappresentanti tra cui Luigi Rusca, fratello di Nicolò, a difendere il proprio concittadino, può smuovere gli insorti grigioni dalla determinazione di sottoporre l’arciprete a processo. Agli inviati di Sondrio e Lugano non viene nemmeno consentito di agire come suoi difensori in giudizio.

 

Il martirio

Finalmente si riunisce un tribunale nel quale, per salvare la faccia, vengono chiamati anche quattro giudici cattolici, praticamente impotenti sotto ogni aspetto. Ridicoli risultano i sette capi di accusa, l’ultimo in particolare. Gli si rimprovera infatti di essersi troppo affezionato e legato al popolo, cosicché i magistrati dei Grigioni, temendo il tumulto e la rivolta popolare, non avevano mai osato procedere contro di lui e punire i suoi delitti. E tutte le volte che in casa sua faceva adunanze con gli altri parroci, subito nella città si udivano per le piazze parole di ribellione.
Incolleriti dalla sua autodifesa (al difensore era stato proibito di intervenire), nella notte del 3 settembre – per i Riformati 24 agosto in quanto usavano ancora il calendario giuliano – lo torturano a due riprese ma il prigioniero non si stanca di ripetere la verità e testimoniare Cristo. Nella notte seguente, 4 settembre, viene di nuovo crudelmente seviziato e durante la tortura si schianta sul pavimento per la rottura della carrucola. Mentre già si sta avvicinando la fine, i carnefici ancora gli gridano di non fare “il gattone e il sognano” e ordinano di continuare la tortura. Depostolo però su di un pagliericcio, il nostro martire rende la sua bell’anima a Dio.
Dopo averlo trascinato per le vie di Thusis sopra una specie di calesse, viene sepolto per spregio proprio sotto il patibolo, fatto questo ritenuto oltremodo oltraggioso all’epoca, Era stato il tribunale a decidere che il cadavere fosse sepolto ai piedi della forca, decretando inoltre il sequestro dei suoi beni. Il corpo viene dissotterrato di nascosto nel luglio del 1619 e trasferito nell’abbazia di Pfäfers. Nel 1838 questa abbazia viene soppressa e nel 1845 le ossa del Rusca trasferite a Como. L’8 agosto1852 vengono solennemente traslati a Sondrio, nella collegiata dei Santi Protaso e Gervaso, dove tuttora si conservano, esposti alla venerazione dei fedeli.

 

Biografie e testimonianze

Molto è stato scritto sul nostro martire già dal 1621 da parte di Giambattista Baiacca, sacerdote sondriese unanimemente considerato la fonte più attendibile e imparziale per il fatto che riporta le opinioni delle due parti in conflitto. Lo storico moderno Felice Maissen ne dà testimonianza, dicendo tra l’altro: “L’autore (il Baiacca), erudito in diritto, scrive sobriamente – si direbbe historice – e in confronto della pomposa prolissità dello stile secentesco, con lapidaria concisione. Il suo linguaggio è chiaro, oggettivo, e denota un giudizio maturo e ponderato. I due scritti del Baiacca sul Rusca posseggono tutti i caratteri di un resoconto rigorosamente attendibile, sono dotati di piena validità storica”.
Non si può dire altrettanto delle opposte “apologie” sulla vita e sulla morte dell’Arciprete Rusca. Queste, pur non essendo prive di valore, forse non al fine di una ricostruzione rigorosamente storica dei fatti, certamente lo sono nel dare l’idea della temperie particolarissima nella quale questi avvenimenti si svolgono.
Meritano però molta attenzione le considerazioni di Fortunato Sprecher, storico della riforma protestante, che del Rusca scrive poco dopo la sua morte: “…condusse una vita sobria, tutta intenta alla sua mansione di uomo di Chiesa e agli studi” e in altro punto: “….abitando una casa vicina alla sua, gli fui familiarissimo”. In merito ai capi di imputazione, lo stesso Sprecher li definisce “vana”, “vacua”, “futilia”.
Sempre da parte riformata non mancano altre testimonianze, come il comportamento lodevole seppur macabro del boia Vich: dopo aver cercato di non seppellire i miseri resti del Rusca sotto il patibolo come era stato ordinato dal tribunale ma in un luogo discosto, risparmiandogli tanta ignominia, confida che, dopo lo scioglimento dell’assemblea di Thusis, fu testimone di cose mirabili che erano accadute alla morte del santo uomo.
Un altro esempio ci viene dalle donne di Coira mosse a compassione del prigioniero. Il loro pianto suscitò in un forestiero di passaggio profonda impressione e, chiestone il motivo, gli venne risposto che tutte erano addolorate perché si trattava tanto male quel Prevosto.
Al martirio del Rusca è presente anche il famoso Jürg Jenatsch (Lohn, 1596 – Coira, 24 gennaio1639), pastore riformato, membro del sinodo delle Chiese Riformate Grigionesi e dal 1618 per tre anni pastore della comunità evangelica di Berbenno in Valtellina. Nel 1618 era stato tra i promotori del tribunale speciale delle pene di Thusis, lo Strafgericht, basato sui principi della teologia calvinista, che esercitava una sorta di dittatura politico-religiosa nelle Tre Leghe. Come era allora normale, l’interrogatorio comportava anche l’uso della tortura. È lo stesso tribunale che provoca la morte sotto tortura di Nicolò Rusca. Jenatsch ricorda il fatto con aspre critiche ai giudici che oltretutto accusa, con disprezzo, di dilettantismo e di incompetenza nella esecuzione. Non si esclude che questo avvenimento lo abbia indotto a lasciare il protestantesimo e a ritornare nel 1635 al cattolicesimo. Lui stesso spiegò che questa conversione era iniziata già sei anni prima in un periodo di prigionia a Venezia in seguito ad un episodio di insubordinazione: la lettura dei testi dei Padri della Chiesa lo aveva convinto che la Chiesa cattolica era la sola autentica Chiesa.
Il bisogno poi di giustificazione da parte dei “giovanotti”, aguzzini dell’arciprete, va pure interpretato come un’impellente necessità di autodifesa in seguito alle critiche che da più parti giungevano. Infatti, nello stesso anno 1618, ecco uscire uno scritto a carattere apologetico che però non giustifica il loro comportamento ed anzi si ritorce contro il loro agire.
La vicenda di Nicolò Rusca rimane molto sentita nei secoli successivi ed anche nel Novecento. Lo storico Franco Monteforte, nel 1993, nell’introduzione all’edizione Pezzini stampata dalla Casagrande SA di Bellinzona, sulla base della traduzione del poeta, narratore, saggista e docente Giuseppe Zoppi (Broglio/Vallemaggia 1896 – Locarno 1952), del romanzo storico “Jürg Jenatsch” (1876) dello scrittore zurighese Conrad Ferdinand Meyer (Zurigo 1825 – Kilchberg 1898) scrive: “La morte sotto tortura del Rusca aveva suscitato un’enorme commozione nel mondo cattolico valtellinese e italiano” e “i valtellinesi da subito lo considerano un proprio martire”. Nel romanzo storico di Meyer si trova un significativo passaggio: “E l’arciprete Niccolò Rusca?… Passava generalmente come innocente. – Credo che lo fosse, – sussurrò Jenatsch che a quel ricordo visibilmente non si sentiva troppo a suo agio e guardava fisso verso il crepuscolo”.

 

Il processo di beatificazione

Subito dopo la morte si comincia a parlare con insistenza della Beatificazione del Servo di Dio. Omettendo tutti gli interventi precedenti iniziati già poco tempo dopo il suo martirio, è doveroso accennare all’interesse manifestato da San Luigi Guanella (Fraciscio di Campodolcino1842 – Como1915) che promuove fin dal 1907 la sua Causa di beatificazione, tanto che nei primi decenni del Novecento il riconoscimento canonico sembra ormai cosa fatta. Il processo ordinario diocesano si tiene dal 1934 al 1936. Dopo una serie di altri passaggi, nel corso del ‘900, il processo subisce dei rallentamenti.
All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso riprende vigore la speranza di veder salire presto agli onori degli altari colui che dal popolo viene già definito “beato”. Il Processo Diocesano per la Causa di beatificazione e Canonizzazione di Nicolò Rusca conclusosi il venerdì 26 aprile 1996 nella chiesa Collegiata dei SS. Gervaso e Protaso in Sondrio, che lo aveva visto Arciprete e nella quale è sepolto, alla presenza di Mons. Alessandro Maggiolini, Vescovo della Diocesi di Como, rappresenta una tappa importante nel lungo iter richiesto. La documentazione viene consegnata a Roma nel 2002 e sottoposta al vaglio della Congregazione delle cause dei Santi che nel 2003 dà il suo parere affermativo, poi dei consultori teologi, la cui valutazione, nel 2009, è a sua volta «unanimemente positiva». L’ultima approvazione viene dalla sessione ordinaria dei cardinali e dei vescovi. Papa Benedetto XVI ha dato la sua definitiva approvazione lunedì 19 dicembre 2011. La cerimonia di Beatificazione, presieduta dal Cardinale Angelo Amato, inviato da Papa Francesco, si è tenuta a Sondrio la domenica 21 aprile 2013.
Il tempo dell’attesa è stato comunque utile perché nel frattempo anche la figura del Rusca appare molto diversa e ciò che un tempo poteva suonare di offesa e di divisione fra cattolici e riformati, ora si può considerare come un segno di unità in un rinnovato spirito ecumenico. Si può affermare che proprio “i tempi del Signore” finiscono per abbattere ogni ostacolo e ogni divisione. Infatti, a Sondrio era presente anche una delegazione di fratelli riformati.

La biografia da me curata

È con grande piacere che ho dato alla stampa una biografia del Martire Nicolò, edita da Arte e Comunicazione di Lugano, con la prefazione di S.E. Monsignor Pier Giacomo Grampa, Vescovo di Lugano, che ringrazio di cuore. È stata presentata nella chiesa di Santa Maria a Bedano, edificata dalla famiglia Rusca, il venerdì 11 aprile 2013. Riporto il frontespizio del mio studio, completato da notizie storiche su questa antica stirpe, dalle origini fino ai nostri giorni.

BIBLIOGRAFIA

 

BAJACHA Joannes Baptista, Traduzione italiana Prof. Garretti, 1939
LEVI ABRAMO “L’Arciprete di Sondrio Nicolò Rusca”, Ed. 1993
LITTA POMPEO “Famiglie celebri italiane”, Ed. 1881
MAISSEN Felix “L’antica storiografia intorno all’Arciprete Nicolò Rusca – Como 1961 (traduzione di Mons. Pietro Gini)
MONFORTE Franco, Introduzione a “Jürg Jenatsch” di Conrad Ferdinand Meyer, Edizioni Casagrande SA, Bellinzona, 1993
RETO-CENOMANO “Valtellina e Rezia, Vita dell’Arciprete Nicolò Rusca 1563-1618”, Ed. 1909
RUSCA DOM ROBERTO, cistercense, “Il Rusco overo dell’Historia della famiglia Rusca”, ed.1681
SESTI DAVIDE “Una gloria ticinese, ossia il Ven. Nicolò Rusca da Bedano”, Ed. 1918
SPRECHER FORTUNATO, “Storia dei Grigioni”, 1617

 

 

 

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